Che differenza c’è tra mindfulness e compassione?

La Mindfulness è una semplice e potente pratica per imparare a dirigere la propria attenzione in modo consapevole. È semplice perché è un modo di porre attenzione nel qui ed ora (ad esempio a sensazioni, pensieri ed emozioni) in un modo non giudicante (Kabat-Zinn, 1994). È potente perché può interrompere l’abitudine di perdersi nei propri pensieri, spesso riguardanti il futuro o il passato, che talvolta generano più stress di quanto in realtà lo producano le pressioni della vita di tutti i giorni. La mindfulness ha le sue origini nella meditazione Vipassana che vuole sviluppare la consapevolezza e la comprensione della natura della realtà così com’è, attraverso un atto di percezione non mediato dai pensieri e una comprensione profonda di quello che sta accadendo nel momento in cui accade. La mindfulness è stata importata in Oriente da Kabat-Zinn, che l’ha impiegata dagli anni Ottanta presso l’Health Care and Society dell’University of Massachusetts per intervenire sullo stress e sul dolore cronico.

Un esercizio di mindfulness si compone prestando attenzione ad una “ancora” (ad esempio il proprio respiro o una qualsiasi stimolazione sensoriale, come la fiamma di una candela), poi si nota che arrivano dei distrattori (pensieri, immagini, sensazioni o emozioni) e si impara a lasciarli andare, per tornare a rifocalizzarsi sull’ancora iniziale. Questa sequenza è ripetuta più volte durante un esercizio.

La compassione è stata definita come il desiderio o l’impulso ad alleviare la sofferenza in un altro essere vivente (Wolf & Serpa, 2015). Se la sofferenza è nella propria vita e si cerca di alleviare il proprio dolore, invece, si parla di auto-compassione. Keltner, Marsh e Smith (2010), sulla base di ricerche sul comportamento di aiuto reciproco nei ratti (Decety, 2010) o nei bambini troppo piccoli per aver appreso il comportamento “educato” per imitazione (Hepach, Vaish, & Tomasello, 2013), hanno parlato di istinto compassionevole per mettere in luce come la compassione sia un aspetto fondamentale e geneticamente determinato del nostro essere animali sociali. Questo implica che esiste un innato istinto alla compassione in ognuno di noi. Un ulteriore conferma di ciò è che le persone che agiscono in modo compassionevole hanno livelli di infiammazione più bassi (Fredrickson et al. 2013) e vivono più a lungo (Brown et al. 2009). In altre parole, riportando una frase del Dalai Lama, “L’amore e la compassione sono necessità, non un lusso. Senza di esse, l’umanità non può sopravvivere”.

La compassione non è sinonimo di empatia, anche se spesso in letteratura i due termini non vengono distinti. L’empatia è il risultato di una risposta automatica da parte dei neuroni specchio, che, quando l’individuo osserva un comportamento o un’emozione in un altro, si attivano nella stessa area responsabile del comportamento o dell’emozione dell’altro (Di Pellegrino, Fadiga, Fogassi, Gallese & Rizzolati, 1992). L’empatia è il sentire dolore mentre un altro individuo soffre, senza potersi difendere in alcun modo. L’empatia può sovrastarci facilmente perché è una reazione automatica che, in qualche modo, subiamo. La compassione invece è una scelta consapevole di compiere un’azione per alleviare il dolore altrui e ci protegge, così, dall’essere sovrastati dalla risposta empatica automatica dei nostri neuroni  specchio. In altre parole, è l’empatia che porta il caregiver al burn-out, non la compassione (Klimecki, Ricard & Singer, 2013).

Che differenza c’è tra mindfulness e compassione? La mindfulness implica il raccogliere l’esperienza così com’è, senza esserne coinvolti e senza giudizio. La compassione, invece, è un’azione diretta verso qualcosa o qualcuno per alleviarne il dolore, comune a tutti gli esseri viventi. La compassione è il desiderio di fare qualcosa, anche solo una piccola cosa, come un sorriso o una parola di conforto. Possiamo dire, quindi, che la mindfulness è lo stare con l’esperienza, mentre la compassione è abbracciarla.

Un’altra differenza tra mindfulness e compassione è che la mindfulness è “rinfrescante”, ci aiuta a rimanere razionali anche in contesti emotivamente salienti. La compassione, invece, è associata al “cuore”, a una qualità dell’esperienza denotata da calore, vicinanza, contatto.

La mindfulness e la compassione sono state descritte come due ali: si ha bisogno di entrambe per poter volare (Wolf & Serpa, 2015).

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