Perché meditare: la scienza ne dimostra i benefici

I benefici della meditazione

Nel corso degli anni sono stati condotti un’infinità di studi il laboratorio per mettere in luce se e cosa funziona della mindfulness.  Questi studi possono essere racchiusi in tre macrocategorie: riduzione dei sintomi, marcatori biologici, neuroplasticità.

Riduzione dei sintomi di disagio psicologico

Hoffmann e colleghi (2010) hanno condotto una meta-analisi di 39 studi su pazienti con una varietà di disturbi fisici e psicologici da cui è emersa una modesta correlazione tra la pratica della mindfulness e un miglioramento di ansia e depressione. In pazienti con comorbilità di ansia e alterazione dell’umore la correlazione era persino più forte. Importante precisare che tale correlazione è risultata essere forte e mantenuta nel tempo.

A conferma di tale risultato un esperimento su 79 veterani di Serpa, Taylor e Tillish del 2014 ha messo in luce che conseguentemente all’esercizio della mindfulness, sintomi depressivi, ansiosi e ideazioni suicidarie si riducevano significativamente.

La mindfuless è stata anche molto studiata in ambito oncologico dove è emerso che determina un miglioramento dell’umore e una riduzione del livello di stress (Speca e coll., 2000), un miglioramento della qualità della vita (Lerman e coll., 2012) e una riduzione della fatica e concomitante miglioramento del sonno (Carlson e Garland, 2005). Inoltre la ricerca supporta l’uso della mindfulness per migliorare le strategie di coping in pazienti con artrite reumatoide, malattie cardiovascolari, diabete HIV/AIDS, sindrome dell’intestino irritabile, trapianti d’organi, dolore cronico e fibromialgia (Carlson, 2012).

La mindfulness è stata anche testata su soggetti senza disturbi psicologici diagnosticati. Una meta-analisi di Chiesa e Serretti del 2009, infatti, mostra che porta ad una riduzione dello stress e degli atteggiamenti ansiosi, inoltre migliora l’empatia e auto-compassione in persone considerate sane.

Marcatori biologici – come cambia la risposta del nostro corpo all’ambiente

Grazie al semplice prestare attenzione con gentilezza e curiosità al momento presente è possibile modificare il funzionamento del nostro corpo, così, molti studi si sono rivolti alla neuroendocrinologia.

Il cortisolo è un ormone dello stress associato all’immunodepressione (Spiege e coll., 1998) e diminuisce in seguito all’esercizio della mindfulness (Matousek e coll., 2009). Uno studio di Davidson del 2003 ha voluto valutare direttamente l’influenza della pratica meditativa sul sistema immunitario, misurando l’attività elettroencefalografica e la risposta immunologica al vaccino anti-influenzale in due gruppi: un gruppo di volontari inseriti in un corso di MBSR (Mindfulness Bsed Stress Reduction) e un gruppo di volontari in lista d’attesa. Nel primo gruppo è stata osservata una maggior attivazione della corteccia anteriore sinistra del lobo frontale, un’area generalmente associata al buon umore. Inoltre, il primo gruppo ha mostrato una risposta maggiore al vaccino.

Recenti studi sui bio-marcatori hanno studiato il legame tra mindfulness e genomica, intesa come l’interazione tra la nostra genetica e l’ambiente. A partire dal fatto che la nostra genetica non definisce solo il colore dei nostri occhi, ma anche la nostra vulnerabilità rispetto a certi disturbi, è stato più volte osservato che gemelli omozigoti con lo stesso patrimonio genetico, non necessariamente sviluppano le stesse malattie. Quindi la genetica non è il nostro destino, ma è largamente influenzata dall’ambiente e da come noi rispondiamo ad esso. L’epigenetica è la scienza che studia come alcuni geni, sulla base dell’ambiente, si “attivano” e altri si “disattivano”. I geni collegati ai processi infiammatori si ritiene abbiano un importante impatto sull’insorgenza e la progressione di molte malattie croniche.

Creswell e altri nel 2012 hanno assegnato casualmente degli anziani soli a due gruppi, uno di meditazione e uno di controllo, poiché la solitudine è uno tra i fattori che maggiormente causano stress e l’incremento dell’espressione di geni pro-infiammatori. Dallo studio è emerso che già otto settimane di meditazione erano sufficienti per modificare l’espressione di specifici geni coinvolti nel processo infiammatorio.

Un’altra area di interesse della ricerca sui bio-marcatori riguarda l’invecchiamento cellulare. Il Premio Nobel del 2009 in Medicina è stato assegnato a Elizabeth Blackburn, Carol Greider e Jack Szostak per la scoperta dei telomeri – i cappucci alla fine dei cromosomi – e un enzima protettivo chiamato telomerasi. I telomeri preservano i nostri cromosomi dall’invecchiamento proprio come un cilindretto di plastica alle estremità dei lacci delle nostre scarpe fa sì che questi non si sfilaccino. Lo stress psicologico e la ruminazione mentale su possibili catastrofi creano un “ambiente” mentale che accorcia i telomeri. La Mindfulness ha un impatto benefico sulla lunghezza dei telomeri riducendo lo stress mentale (Epel e coll., 2009).

Il primo studio che documenta come la meditazione cambia la lunghezza dei telomeri e di conseguenza l’invecchiamento cellulare, è stato svolto su trenta soggetti in ritiro di meditazione per tre mesi, confrontati con un gruppo in lista d’attesa. I risultati mostrano che il decremento di sentimenti negativi e altri miglioramenti nello stato psicologico sono collegati con un incremento nell’attività della telomerasi (Jacobs e coll., 2011).

Neoroplasticità – come si modifica il nostro cervello

La neuroplasticità consiste in come il cervello cambia grazie alle nostre esperienze.

Uno studio di Lazar del 2005 ha messo in luce che i meditatori esperti avevano una corteccia più spessa nelle aree di processamento delle emozioni, delle sensazioni e dei pensieri, rispetto ai non meditatori. Studi successivi hanno trovato che il cervello dopo 4 settimane di meditazione quotidiana si modifica anche in altre aree, come la materia bianca e nella corteccia cingolata anteriore, responsabile dell’auto-regolazione (Tang e coll., 2012). Altri studi hanno trovato cambiamenti nella densità della materia grigia e nel numero delle cellule nervose nell’ippocampo, dopo 8 settimane di partecipazione al protocollo MBSR (Hölzel e coll., 2011). Un altro studio di Lunders e colleghi del 2009 ha trovato che i meditatori esperti hanno un maggior volume cellulare nella corteccia prefrontale sinistra, un’area responsabile della regolazione delle emozioni.

Un altro studio molto interessante, condotto alla Emory University da Gusnard nel 2011, si è occupato di un particolare meccanismo neurale chiamato “default network”. Esso si attiva quando la nostra mente è a riposo, mentre diventa latente quando il cervello è impegnato in qualunque tipologia di compito. Lo studio prevedeva la divisione in due gruppi, uno formato da partecipanti che praticavano meditazione da almeno tre anni e l’altro composto da persone che non avevano mai meditato prima. Il compito loro assegnato prevedeva di concentrarsi sul respiro e quando, occasionalmente, comparivano sequenze di lettere dovevano determinare se esse fossero parole reali o meno (tale compito attivava il default network). Subito dopo erano tenuti a tornare a concentrarsi sul respiro. Tutto ciò venne osservato utilizzando la fMRI (risonanza magnetica funzionale). Ciò che emerse fu che i praticanti riuscivano a tornare al respiro e disattivare la default network più velocemente rispetto all’altro gruppo, riuscendo quindi ad abbandonare il flusso di associazioni che spontaneamente affioravano dopo aver riflettuto sul significato delle parole. Grazie a questo studio si è potuto collegare la Mindfulness a disturbi psicologici legati alla ruminazione (depressione, disturbo ossessivo, ansia…).

Dunque ciò che possiamo dedurre è che la pratica continua e costante di esercizi mindfulness riesce letteralmente a riscrivere il nostro cervello e questo ha un incredibile potenziale.

Per comprendere meglio tale concetto potrebbe utile utilizzare una metafora. Se vogliamo dei bicipiti muscolosi, cosa dobbiamo fare? Allenarli continuamente, giorno dopo giorno per renderli più forti. La stessa cosa vale per la meditazione se vogliamo essere in pace con il nostro corpo dobbiamo allenarci continuamente, giorno dopo giorno per rendere il nostro cervello più forte e dunque in grado di sostenerci nel raggiungere tale serenità.

Il motivo per cui la mindfulness funziona è ancora dibattuto, tuttavia forse la spiegazione più convincente è che riesce a modificare il modo in cui ci rivolgiamo alla vita. Comprendere quanto cresca la nostra sofferenza se combattiamo il dolore, quanto inconsciamente costruiamo e siamo vincolati ad un senso del “sé”, comprendere la natura automatica della nostra mente e il non avere colpe riguardo alle nostre fragilità, ci aiuta a a tollerare il dolore, ad accettare successi e fallimenti e ad impadronirci di ogni singolo momento della nostra vita. In parole povere le conoscenze acquisite grazie alla mindfulness permettono di stabilire una relazione con il mondo che sia meno basata sulla difensiva e più sulla flessibilità.

Che meditazione scegliere? Meditazione formale e meditazione informale

Esistono due forme di meditazione: formale ed informale.

Per formale si intende una meditazione a cui viene dedicato del tempo, solitamente almeno mezz’ora, a ciò che sentiamo e pensiamo.

La mindfulness informale consiste nello scegliere di prestare attenzione a ciò che sta accadendo nel momento presente, che può essere l’ascolto del canto degli uccelli o il focalizzarci sul nostro corpo o respiro. Il momento presente ci permette di liberarci dalle preoccupazioni, non ci giudica mai ed è infinitamente piacevole.

Ogni persona dovrebbe decidere autonomamente quale forma praticare. Sicuramente la pratica formale è più intensiva e permette di trasformare la mente ad un livello più profondo. Tuttavia è complesso ricavare un momento da dedicare alla mindfulness formale nella nostra frenetica ruotine, per la presenza di ostacoli o abitudini mentali che spesso ci “controllano” in automatico.

La meditazione formale ci aiuta a capire come convivere con lo sconforto, come non trasformare il quotidiano dolore fisico ed emotivo in qualcosa di più grande di quello che è e affrontare ogni problema con calma ed efficienza. Concentrarsi ed esplorare il respirare, il corpo, le emozioni e i pensieri ci permettere di rispondere e ciò che viviamo in quel momento, invece di reagirvi semplicemente.

Ciò su cui il successo della meditazione si basa è la quantità di tempo dedicato ad essa, dunque l’efficacia risulta essere dose-dipendente.

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